martedì 14 febbraio 2017

Sanremo, ma il popolo è muto

Il Festival della Canzone italiana, detto di Sanremo, è sempre stato espressione di intrattenimento reazionario della classe dominante. Nessuna novità.

Sarebbe facile mostrare la banalità delle canzoni vincitrici, e rivelarle nella loro insipienza o furbizia attraverso una semplice analisi strutturale. Banalità musicale e semantica, oltre che di forma poetica, o, nel migliore dei casi, 'contenutismo' rozzo e vuoto come nel caso della canzone vincitrice , dove i presunti contenuti 'alti' (il riferimento a Morris, per esempio, o la fagocitazione dell'uomo nel web; in sostanza, nonostante la tecnologia l'uomo resta una scimmia), sono annullati dal mezzo che li trasmette e dalla banalissima musica pop.
Non emoziona nemmeno la tanto lodata canzone di Amara cantata da Fiorella Mannoia, "Che tu sia benedetta", un coacervo di frasi fatte e scontate,  regressive e dolciastre, come si addice a una vera canzone finalista di Sanremo,  che subito qualche rappresentante del Vaticano si è affrettato a benedire come inno alla 'vita'.
Una volta si sarebbe definita una canzone 'democristiana'.

Con il Festival di Sanremo l''industria culturale fa quello che vuole, e accade per altri premi, di letteratura per esempio, e lancia come prodotti di valore canzoni in realtà bruttine.

Piuttosto mi preme però far notare come il Festival di Sanremo e tutto il commentume dei giornali (peraltro ho letto che la canzone vincitrice ha fatto scatenare in un ballo scimmiesco tutta la sala stampa...complimenti),  completino la sepoltura di ogni altra possibilità di espressione canora. Sì, ci sono il Premio Tenco o il Premio De André, ma il 'popolino' non segue quelle manifestazioni, non commenta sui social quelle canzoni.  Che poi, fatte salve alcune eccezioni, non sono molto diverse da quelle che proprina Sanremo.

Ormai il Festival è  'nazionalpopolare' nel senso opposto con cui coniò il termine Gramsci (il popolo che dovrebbe esprime i valori più significativi e duraturi di una nazione),  o non solo più con l'accezione dell'appiattimento e superficialità del gusto, ma è 'nazionalpopolare' in quanto è avvenuto il  'dominio-sul-popolare" : la classe dominante impone definitivamente ormai il gusto al popolo, e il popolo lo segue e lo consuma, amplificandone l'effetto sul web, senza produrre più nulla di proprio. 

Brutalmente: tu, Festival, mi dài la canzone da cantare; io non solo la compro e la canto (come avveniva fino a poco tempo fa), ma la propago, con la mia azione sul social, come un involontario agente commerciale. E tutto gratis, e tutto a favore dell'oscuro (?) committente.

Nessuno più si immagina o canta altre canzoni che quelle propinate dal Festival di questo santo, che in realtà era San Romolo (no, tanto per dire, eh), ed è defunta ogni seria alternativa al dominio culturale ed economico.

La 'comunicatività' ha vinto completamente sulla 'espressività'.

Il senso dei sintagmi 'musica popolare' o 'canzone popolare', 'ricerca musicale', 'ricerca poetica', 'critica militante', 'recensione critica' eccetera, appartengono ormai definitivamente ai manuali di musicologia e si studiano nelle università o nei conservatori. D'altronde da diversi anni è stato distrutto l'humus che aveva fatto sorgere le cosiddette diversità. (Perché è vero che la musica o canzone popolare era spesso ripetitiva e semplificata, ma era comunque autentica, non artefatta e studiata per il suo commercio eccetera).
La canzone è solo 'arte' monopolizzata della e dalla classe dominante e dei suoi commerci, affari e intrallazzi, come accade per altre espressioni artistiche, e gli artisti si lacerano le vesti solo per conformarvisi e salire sui palchi dell'Ariston e diventare famosi.  In quanto il fine dell'artista è la fama (non la gloria, come recita la canzone vincitrice, fama e gloria sono ben distinte!), l'artista è diventato puro strumento, ma non dell'arte, burattino.

Al momento nessuna diversità o eccezione è possibile. Il popolo è muto.


(P.S. I due video: il primo è la versione italiana di "Gracias a la vida" della cantautrce cilena Violeta Parra cantata da Gabriella Ferri; il secondo è una canzone di Herbert Pagani, una riflessione sul mestiere di cantante e un ricordo di Luigi Tenco).





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